Per L’uomo di Calcutta, suo romanzo di esordio, Abir Mukherjee, scrittore di origine indiana e cresciuto in Scozia, sceglie un’epoca di transizione: siamo nella Calcutta del 1919. Il dominio degli inglesi sull’India è ancora solido da un punto di vista amministrativo, ma inizia a vacillare sotto il profilo morale: siamo ancora lontani dall’Indian Independence Act 1947; ma la pretesa superiorità dell’uomo bianco, l’inevitabilità della sottomissione dei nativi comincia a indebolirsi. Mentre le idee di Gandhi iniziano a circolare nel subcontinente, l’Inghilterra si arrocca dietro provvedimenti sproporzionati come i Rowlatt Act, cosa che non fa che accentuare l’insoddisfazione della popolazione.
In questo contesto Sam Wyndham, veterano di guerra appena arruolato nella polizia del Raj, si trova a indagare su quello che ha tutta l’aria di essere un omicidio politico: Alexander MacAuley, un pezzo grosso dell’amministrazione inglese nel Bengala, viene ritrovato ucciso in un vicolo della Città Nera. Sul corpo, un biglietto intima ai suoi connazionali di lasciare l’India.
Tra l’ostilità dei servizi segreti e l’omertà dei testimoni indiani, l’indagine di Wyndham sembra destinata ad arenarsi in un mare di false piste. Chi era MacAuley? Un amministratore fedele ucciso da un terrorista indiano? Il faccendiere di uomini potenti? Davvero il suo è stato un assassinio politico? Il fatto è che a Calcutta chi sa non parla, e chi parla mente. I primi a mentire sono proprio gli inglesi, che con le loro buone maniere e la parvenza democratica soggiogano, in 150mila, una popolazione di 300 milioni di abitanti.
«(…) Dobbiamo presentare la loro cultura come barbara, fondata su falsi dei. Persino la loro architettura deve apparire chiaramente inferiore alla nostra. Per quale altro motivo avremmo dovuto costruire una mostruosità in marmo bianco come il Victoria Memorial, e farlo più grande del Taj Mahal?
Cristo, non lasciamo che nemmeno i fatti possano danneggiare l’immagine che vogliamo mantenere. Guardi gli atlanti che danno ai bambini a scuola. India e Inghilterra sono l’una accanto all’altra, e ciascuna occupa un’intera pagina. Non le mostriamo in scala, per non far capire a quei bambinetti scuri di pelle quanto l’Inghilterra sia minuscola, in confronto all’India! (…)»
E mente pure Wyndham, che dietro un’apparenza testarda e integerrima nasconde una dipendenza da morfina, eredità dei traumi subiti durante la Guerra.
L’unico disposto ad aiutare Wyndham è Surrender-not Banerjee, un giovane sergente indiano arruolato in polizia con la speranza che «un giorno voi indiani vi sareste governati da soli, e quel giorno avreste avuto bisogno di detective, così come di giudici, militari, ingegneri».
Il rapporto tra i due è ambiguo: alla fiducia guadagnata sul campo si affianca la consapevolezza di un’insanabile distanza costituita dalla razza, che impedisce a Wyndham di considerare Banerjee un partner, invece di un sottoposto.
Mi sentivo imbarazzato. Ero in debito con lui, ma per qualche motivo non riuscivo a dirgli grazie. In India era così. Era difficile per un inglese ringraziare un indiano. O meglio, era facile quando l’indiano ti portava un drink o ti lucidava gli stivali, ma quando faceva qualcosa di più importante, tipo salvarti la vita, era diverso.
A cambiare i rapporti tra i due è l’evolvere della storia: il gigante coloniale perde tutto il suo splendore, tra amministratori corrotti, tentativi di piegare le leggi a fini personali, depistaggi di Stato e altre atrocità: non solo il pestaggio dei prigionieri, ma vere e proprie stragi, come il massacro di Amritsar, in cui persero la vita quasi 400 civili indifesi.
Mentre Wyndham si avvicina alla soluzione del caso, diventa sempre più chiaro che quello inglese è un impero senza fondamenta. Ma in fondo, chi è senza peccato?
Piacevole perché va al di là dei soliti gialli, L’uomo di Calcutta apre una saga di romanzi incentrata sulle due figure di Wyndham e Banerjee. Aspettiamo i prossimi capitoli della saga.
Nb. Aggiornamento: è stato pubblicato il secondo capitolo, Un male necessario.
- Titolo: L’uomo di Calcutta (A Rising Man)
- Autore: Abir Mukherjee
- Genere letterario: Romanzo giallo (348 pp.)
- Casa editrice: Sem
- Anno di pubblicazione: 2018 (2016)
- Traduzione: Alfredo Colitto
Questa recensione è stata scritta per Critica Letteraria