Per essere formidabile era sufficiente confondere le idee al prossimo: in fondo era tutta una questione di apparenze.
Non è il capolavoro di cui molti parlano, ma La verità sul caso Harry Quebert, di Joël Dicker, è un buon libro, anche se non amate i gialli.
Trama
La storia prende le mosse nel 1975, quando la 15enne Nola Kellergan scompare da Aurora, cittadina del New Hampshire con un diner, una chiesa e tanti villini, dopo un misterioso inseguimento nel bosco. Trentatré anni dopo, quando la città sembra essersi rassegnata a ignorare la verità sul caso Kellergan, il corpo di Nola viene finalmente ritrovato: è sepolto nel giardino di Harry Quebert, scrittore di fama mondiale. Inevitabilmente i sospetti si appuntano su di lui.
All’epoca della scomparsa il giovane Quebert era ancora un forestiero: il fascinoso scrittore di città, destinatario della curiosità romantica delle donne e dell’invidia dei rozzi uomini locali, era appena arrivato in provincia, a cercare l’ispirazione per un altro best-seller. Ad aggravare la sua posizione, la circostanza che Le origini del male, il libro più famoso di Quebert, parli della storia d’amore segreta tra lui e Nola (come Quebert confessa all’inizio del romanzo).
L’unico a credere nell’innocenza di Harry è Marcus Goldman, a sua volta romanziere. Proprio nella difesa del suo maestro, nel cercare la verità sul caso Harry Quebert, Marcus trova un’occasione per tornare a scrivere.
Dicker racconta quindi un’indagine su un cold case, ma lo fa in una maniera particolarmente coinvolgente: non tanto per i colpi di scena (alcuni sono un po’ tirati per i capelli), quando per i tempi della storia. Come in un’indagine vera, infatti, le investigazioni si svolgono a tappeto, raccogliendo le testimonianze da tantissimi personaggi, ognuno dei quali ricorda i fatti (e Nola ed Harry) a modo suo. La ricerca di Marcus attraversa difficili momenti di pantano e accelera in presenza di felici intuizioni.
Sospetti
Il lettore è disorientato: mettendosi nei panni dell’investigatore, sulla spalla di Marcus Goldman, visualizza un quadro confuso, verosimilmente illeggibile. Tutti, in teoria, avevano un motivo per uccidere Nola Kellergan: i genitori violenti, Jenny la gelosa, la signora Quinn, con le sue smanie matrimoniali, quel viscido di Elijah Stern e il suo inquietante autista, il mostruoso Luther Caleb… e poi, siamo così sicuri che Nola fosse una brava ragazza? Che non nascondesse nulla, che la gioia di vivere non fosse una maschera? Che sia lei la vittima?
Ecco, a metà libro non si è più sicuri di nulla; e non parlo dello stato d’animo di Marcus: è il lettore che non ci capisce più nulla. Quando la lampada da interrogatorio (o il registratore di Marcus) si avvicina ai personaggi, mette in luce i segreti, i vizietti, la polvere che i cittadini di Aurora cercano di nascondere dietro l’apparenza di una cittadina ingenua, da catalogo.
È questa scia di indizi e depistaggi che convince il lettore a proseguire la lettura, trascinandolo, se non fino all’ultima pagina, almeno per tre quarti del libro.
Stile
Tuttavia nel romanzo ci sono anche elementi di troppo. Immagino che molti avranno adorato i consigli di scrittura che scandiscono i capitoli; scommetto che cercando in internet troverei qualcuno che elogia il loro procedere paralleli alla composizione del romanzo da parte di Goldman. Io li trovo un espediente un po’ facilotto per caratterizzare il libro, tipo tips da corso di scrittura creativa.
Del resto, che il libro sia studiato a tavolino è abbastanza evidente: ci sono tanti elementi che ricordano altro (qualche personaggio-macchietta, per esempio; e se l’insistenza su “Nola, N-O-L-A” non vi ricorda niente, vi aiuto io), messi insieme con lo stile semplice del libro da grande pubblico e legati da qualche massima “di pronto riutilizzo”. Durante la lettura ci sentiamo in presenza di qualcosa di familiare, che conosciamo e che anche per questo piace. Questa osservazione non deve però distrarre dal fatto più importante: l’operazione riesce alla perfezione. Il libro piace.
L’amore melenso
Quello che invece non funziona (e che a tratti scoraggia, per fortuna ci sono abbastanza ami da tenerti sul libro) sono i passaggi dedicati alla storia d’amore tra Nola ed Harry. Le lettere, le parole, gli episodi sono caratterizzati da uno stile melenso, genere Harmony da edicola. E non mi si dica che sono stati scritti per riprodurre il linguaggio di una sognante 15enne al suo primo amore: anche le lettere di Harry, lo scrittore, sono sciroppose.
Si apprezza invece il finale a sorpresa: Dicker ha voluto strafare e il realismo (proprio quella verosimiglianza che si apprezza nel resto del libro) un po’ ne risente. Tuttavia la conclusione chiude il cerchio: quando finalmente tutti i pezzetti trovano il loro posto, vien fuori un ritratto di Aurora inquietante, da paesello da catalogo a cittadina di provincia dove si va (o si rimane) per nascondere i propri fallimenti, i vizi e le bugie di gioventù.
- Titolo originale: La Vérité sur l’Affaire Harry Quebert
- Autore: Joël Dicker
- Genere: Romanzo giallo (775 pp.)
- Traduzione: Vincenzo Vega
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2018 (2012)
Brava, sei riuscita ad esprimere le mie impressioni sul libro, con l’aggiunta di qualche critica che denota la tua professionalita’; perche’ non ti lanci e lo scrivi tu un libro? Inventati una bella storia con un personaggio misterioso ( meglio se donna )ed un finale a sorpresa; in mezzo una decina di personaggi di contorno, sullo sfondo di una citta’ in riva al mare
Grazie! Ci penserò.
A me il libro è piaciuto molto poco; anzi, quasi per niente. Concordo pienamente con le tue critiche (l’amore mieloso, lo scrittore che diventa Liala quando si rivolge alla quindicenne…..) e ne aggiungerei altre, quali le decine di pagine inutili, tra titoli, sottotitoli, istruzioni per l’uso; lo stile diseguale, come se certe parti siano state scritte dopo, per “allungare il brodo”……..La successione di possibili colpevoli, ognuno con il suo buon motivo, non è certo una novità: dall’Ellery Queen del “Paese del maleficio” sono passati quasi 80 anni e molti Autori – ben più dotati di questo Dicker – hanno detto la loro; l’ultimo caso che mi viene in mente (non molto migliore di questo, in verità) “Biancaneve deve morire” di una Autrice tedesca, Nele Niehaus.
Se ti è piaciuta l’ambientazione , però, un buon classico consigliabile è “I duri non ballano” di Norman Mailer
Per allungare il brodo… eh già!
Ps. Seguirò il consiglio.