Un anno appena separa Storia di una famiglia perbene (Newton Compton) da La malalegna (Mondadori), entrambi scritti da Rosa Ventrella. A distanza di dodici mesi, la scrittrice di origini pugliesi esibisce una scrittura molto più solida.
Dal punto di vista della trama, i due romanzi si somigliano: sono storie di famiglie semplici, misere ma dignitose, “perbene” nonostante gli stenti. Se la Storia del 2018 era ambientata nella Bari vecchia anni Settanta, con La malalegna facciamo un doppio salto indietro, nel tempo e nello spazio.
Atterriamo sempre in Puglia, ma ancora più a sud, nella Copertino anni Quaranta. Una realtà rustica e asfittica, non riscattata ma isolata dalle sterminate campagne di ulivi che la circondano.
In questa terra senza bellezza si svolge la storia della famiglia Sozzu. Tere’ e Angelì, ispirate alla nonna della scrittrice, Antonietta, e a sua sorella Cornelia, non potrebbero essere più diverse: Teresa, la maggiore, è timida e insignificante, di una magrezza insipida, non rischiarata dai capelli color «uva luglienga»; Angelina invece ha la lingua tagliente e un fuoco interiore che la illumina, mettendola in mostra sin da piccina.
Cresciute senza il padre (impegnato al fronte), le sorelline vivono nel mito del barone Personè, un proprietario terriero in combutta con i fascisti, ma tanto generoso con l’affascinante signora Sozzu. Il comportamento di Caterina, reso disinvolto dall’inedia, attira sulla famiglia Sozzu «lo scuorno», la vergogna. Caterina è la «puttana del barone»: lo sanno le paesane, invidiose della sua bellezza, lo sanno le chianche e i muri di Copertino. Nulla cancellerà il passato: non la fine della guerra, né il ritorno del padre o le lotte per la terra.
La maldicenza stava ovunque e inseguiva mia madre che doveva schivarla a ogni passo, camminava (…) urtava contro le damigiane di olio fuori da lu trappetu, entrava negli occhi degli asini legati ai carretti, contagiava il venditore di sarde, il panettiere, il fruttarolo (…).
Il virus dello scuorno s’insinua nei «vichi» di Copertino come il fischio del vento, passa tra le bocche sdentate delle vedove e gli occhi vigili delle zitelle, s’ingrossa nei mercati dei poveri e precipita su casa Sozzu, su cui s’incolla come un’edera parassita. A esserne cannibalizzata è Caterina per prima, e poi Angelina, che ne ha ereditato la rigogliosa bellezza. È lei, Angelina, la malalegna: perché non solo è bella, ma disdegna tutta la miseria che la circonda. A iniziare dai modi rustici del padre, il cui bene più prezioso è la sgangherata bicicletta con cui raggiunge i campi.
Come nel precedente romanzo, anche qui la donna ambiziosa assume una connotazione negativa agli occhi dei paesani. Solo che in Storia di una famiglia perbene la voce narrante era la stessa Malacarne, che raccontava dal proprio punto di vista il bisogno e la paura di uscire dal rione. Qui invece la sete di Angelina è descritta dall’esterno, dalla sorella Teresa.
Il rapporto tra le ragazze è denso di non detti: quanto più una si afferma, tanto più l’altra si eclissa. Angelina è un modello, ma un modello così esuberante che, più che ispirare, intimorisce. È il ramo fiorito che secca su un albero uniformemente rozzo, ma solido della sua coerenza. Teresa è una sorella maggiore adorante ma impotente: non può fare altro guardare Angelina incamminarsi su una strada pericolosa: per i poveri non c’è giustizia, e il paese non perdona chi lo rinnega.
La Ventrella del 2018 era già interessante e decisa nel tratteggiare la vita stretta dei vicoli, ma ancora insicura nella gestione dei ritmi che tengono il lettore avvinto fino all’ultima pagina. La malalegna, invece, mostra una maggiore destrezza nella conduzione del romanzo, offrendo al lettore un contesto molto realistico e immersivo.
- Titolo: La malalegna
- Autrice: Rosa Ventrella
- Genere: Romanzo (pp. 272)
- Filone: Italiana Contemporanea
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2019
Questa recensione è stata scritta per Critica Letteraria
Scrittura curata, volutamente evocativa, ma troppo ripetitivo il leit motiv da un libro all’altro: lo sfondo storico del Mezzogiorno, passioni familiari, miserie e nobiltà della donna del sud. Camilleri ha sdoganato l’uso del dialetto e della tipicità regionale, regalando dei gialli sempre stimolanti. Qui non abbiamo un Tomasi di Lampedusa o un Verga… L’autrice sforna costanti dejà vu a metà tra Liala e la d’Urso, strizzando l’occhio al cinema per la tv. Un ottimo uso del tempo libero e di public relation, per i nuovi Harmony della Mondadori. Il romanzo storico non è per tutti.
Certamente non abbiamo un Verga, ma l’ambizione dell’autrice non era (non poteva essere) misurarsi con i classici della letteratura italiana. Tuttavia il paragone con gli Harmony mi sembra fuori contesto, e non riesco ad immaginare un richiamo alla d’Urso (i cui prodotti, sia detto, non conosco). In Ventrella vedo piuttosto il racconto orgoglioso di un luogo, di un modo di essere che in certi paesi è più attuale di quanto si possa credere. Per me può ancora crescere, a patto che sappia coltivare la sua ispirazione senza trasformarla in sabbie mobili